Sedici parole, di Nava Ebrahimi (Ed. Keller, pp.330, 2020,(prima pubbl. 2017) trad. Angela Lorenzini)

Sedici parole nella tua lingua, ma che non è più la tua. Il tuo Paese, l’Iran, ma tu ora sei in Germania. Il romanzo è molto lento, spesso ripetitivo. Non mi ha trascinato tanto per come è scritto, ma per il tema trattato. Perché parla di tutto il mondo, alla fine. Non solo di chi fugge dalla propria patria perché inseguito da guerra e fame, o da un lavoro che non c’è, o spinto dalla ricerca di una vita migliore, dalla ricerca della libertà, come tantissimi profughi vivono sulla loro pelle, ma parla anche in generale di chi non ha ancora trovato il proprio ruolo, sul palcoscenico dell’esistenza, chi ama e non è riamato, chi non sa amare ancora, chi ha sbagliato e vuole ripartire dimenticando gli errori ma facendone tesoro, chi si trova sospeso in un limbo e non appartiene a niente e a nessuno, insomma tutti quelli che cercano se stessi prima ancora che una possibile felicità materiale. Il libro non resterà tra i miei libri del cuore, ma fa pensare tanto, intriso completamente in un secchio di malinconia densissima.

Musica: Mohsen Yeganeh – Behet Ghol Midam

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